Soffrire non è sempre sinonimo di male
Soffrire! E’ una parola così pesante, così grigia, così dolorosa. Dire soffrire è come sentirsi un peso nell’anima, un tormento nel cuore e un malessere che cancella tutto ciò che di bello abbiamo vissuto.
Questa è la sofferenza, perché non può darci altra immagine che quella di un giorno di pioggia, dove tutto sembra brutto. Ma la visione della sofferenza ha questo volto solo se vista con gli occhi dell’umanità. Agli occhi di Dio ha tutt’altra faccia!
Il soffrire eleva a Dio
Certe persone, di fronte alle sofferenze della vita, si ribellano a Dio e lo incolpano di tutte le loro disgrazie, come se il Signore fosse la causa dei loro mali. Eppure queste persone quando ricevono cose buone, non dicono a Dio grazie per questo e per quello…non lo reputano l’autore della loro fortuna ma solo del loro malessere. Vi sembra normale?
E iniziano a dire « Perché mi ha fatto questo? preferisco morire che vivere così. Voglio suicidarmi perché così non vale pena di vivere».
Attenzione, siamo umani!
E’ normale lamentarci, perché siamo umani, quindi il male non sta nel fatto che ci lamentiamo, che ci diventa difficile soffrire, no; il male sta nella ribellione! Ci ribelliamo a Dio per la nostra sofferenza di qualsiasi origine sia. Anche Gesù nell’orto degli ulivi disse: Allontana da me questo calice…pa poi aggiunse: non la mia ma la tua volontà sia fatta. Questo significa che dobbiamo si chiedere a Dio la guarigione, se non fosse così, Gesù non avrebbe operato tanti miracoli, dando la vista ai ciechi, guarendo gli storpi e via dicendo…ma dobbiamo accettare la sofferenza e fare di essa una scala che ci porta fino al cielo.
Se Dio avesse ascoltato il grido del Figlio, noi oggi non potremmo godere del Paradiso. Grazie al soffrire doloroso di Cristo noi siamo stati riscattati, creandosi così una cucitura, una nuova alleanza. Gesù ci ha elevati fino al cielo salendo sulla croce. Gesù chiudendo il suo corpo in un sepolcro, ci ha racchiusi nel cuore di Dio. Gesù risorgendo, ci ha resi Figli dell’Altissimo e un giorno chi crederà in Lui, avrà la vita eterna, cioè il nostro corpo risorgerà e non morirà più. Cosa è quindi il soffrire temporaneo rispetto alla gioia eterna? NULLA!
Alcuni poi pensano che se sono buoni non devono soffrire e dicono: “Perché mi fai questo, io sono buono. Perché mi castighi?” E Dio non risponde, tace, perdona e si prende con pazienza tutti gli insulti e le incomprensioni.
Ma Dio non si diverte e non si compiace vedendoti soffrire, come se il tuo dolore e la tua malattia fossero capricci del suo svago per i momenti di libertà.
Diceva Nicola Wolterstorff: « Amare è soffrire».
La sofferenza ci eleva a Dio, che è amore; ci rende più sensibili di fronte alla sofferenza degli altri e ci aiuta a maturare personalmente. L’uomo che non ha sofferto non avrà la maturità sufficiente per amare davvero e sarà più duro e insensibile di fronte al dolore degli altri. Per questo un antico
proverbio dice: « Chi non conosce il dolore non conosce l’amore».
La sofferenza è un tesoro di Dio, uno strumento di Dio per avvicinarci di più a lui, se sappiamo accettarlo con amore. Al contrario può essere un mezzo di disperazione per chi non ha fede e pensa solo di farla finita con tutto quanto prima, e di suicidarsi.
Nel 1928 Margherita Godet desiderava essere un’apostola missionaria, ma era immobilizzata a causa di un’infermità. Lei si offrì come missionaria inferma delle Missioni degli stranieri di Parigi. Così diede vita all’Unione dei malati missionari, che si impegna a offrire ogni giorno il proprio dolore alle missioni.
Da una grande sofferenza, nasce sempre un grande albero pieno di frutti.
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