Come è nato il Santo Rosario
Il Rosario ha quasi mille anni di storia. La tradizione, fino a qualche tempo fa, ne attribuiva la nascita a San Domenico. Oggi non c’è più tale certezza, anche se resta storicamente testimoniato che i domenicani ne sono stati i maggiori zelatori e promotori. È nel secolo XII che se ne intravede l’embrione, nel suggerimento dato ai monaci illetterati di sostituire la recita dei 150 Salmi con altrettanti Pater o Ave. Tra le preghiere ripetute, prevalse, diviso in tre cinquantine, il Rosario dell’Ave Maria (detto così perché all’inizio non c’era la seconda parte, quella che inizia con Santa Maria). nel secolo XIV il certosino Enrico di Kalcar propose la suddivisione in 15 decine, inserendo tra l’una e l’altra il Pater. Più tardi, nel 1613, l’inserimento del Gloria avrebbe completato l’opera. Intanto, alla contemplazione insita nelle preghiere vocali, si aggiunge quella meditativa, poggiata sull’evocazione di momenti della vita di Cristo.
È merito di un certosino di Colonia, Domenico di Prussia, aver proposto l’aggiunta, all’Ave Maria, di una clausola cristologica. Le clausole variavano ad ogni Ave Maria. Questo “Rosario nuovo” si diffuse grazie alle confraternite del Rosario promosse dal domenicano Alano de la Roche che, nel 1400, distinse le tre cinquantine in rapporto a tre cicli meditativi incentrati sull’Incarnazione, la Passione e la Gloria di Cristo e di Maria.
È in quest’epoca il salterio mariano comincerà a chiamarsi “Rosario della Beata Vergine Maria”. Un altro domenicano, Alberto da Castello, legò le meditazioni dei “misteri” al Pater, considerando le clausole come commenti ai 15 misteri prescelti. Era venuta così alla luce la figura attuale del Rosario che, il Papa San Pio V, con la bolla Consueverunt romani Pontifices del 1569, stabilì in forma ormai definitiva. Al Rosario, nel corso dei secoli, il vissuto di fede ha attribuito sempre grande efficacia rispetto ai pericoli che insidiano la vita. È rimasta particolarmente legata al Rosario la vittoria delle armi cristiane su quelle turche a Lepanto nel 1571. Da quel caso storico, molti interventi magisteriali hanno riproposto questa sua funzione “militante”, ma vista sempre più in termini di milizia spirituale, fino a fare del Rosario una preghiera privilegiata per la causa della pace. San Pio V, nella bolla “Salvatoris Domini”, scritta a pochi mesi dalla vittoria di Lepanto, attribuendo tale successo alla recita del Rosario, stabilì che ne venisse celebrata perpetua memoria il giorno 7 ottobre.
I Romani Pontefici nel corso dei secoli hanno tenuto il Rosario in gran conto, raccomandandolo costantemente all’attenzione e alla pratica del popolo cristiano.
Il primo documento che riguarda la pia pratica del Rosario risale al 1478: è la bolla Pastor aeterni promulgata da Papa Sisto IV (1471-1484) e destinata alla Confraternita del Salterio in Colonia (Germania). Il Pontefice testimonia che la pratica chiamata Rosarium Beatae Virginis Mariae, è composta da 150 Ave Maria e da 15 Pater noster; la fedeltà a tale pratica è premiata col dono dell’indulgenza. La bolla Ea quae di Sisto IV si distingue per importanza. Indirizzata al Principe di Bretagna Francesco e alla moglie Margherita, contiene informazioni preziose per la storia del pio esercizio. Il Papa, osservando una crescente popolarità del Salterio tra i fedeli, sostiene che questo modo di pregare risale ai laici, che, nei tempi antichi, lo praticarono nelle diverse parti del mondo. Definendo la preghiera, Sisto IV menziona una serie di 150 Ave Maria e 15 Pater noster, senza però dire alcunchè circa la meditazione dei misteri.
Papa Innocenzo VIII (1484-1492) concesse delle indulgenze a tutti coloro che avessero aggiunto il nome di Gesù alla Salutazione angelica. Infine Alessandro VI (1492-1503), Leone X (1513-1521), Adriano VI (1522-1523) e Clemente VII (1523-1534), con rispettivi interventi hanno confermato sia le confraternite del Rosario, sia la pia pratica, premiando i fedeli dediti a tale devozione con nuove indulgenze. Ricordiamo anche Papa Gregorio XIII (1572-1585) che, nel 1573, istituì la festa solenne del Rosario alla prima domenica di ottobre, inserendola nel Calendario romano generale con la bolla Monet apostolus. Pio IX (1846-1878), il Papa dell’Immacolata, invitò la Chiesa alla recita del Rosario per il buon esito del Concilio Vaticano I con la lettera Egregiis suis del 3 dicembre 1869. Da Sisto IV a Pio IX sono stati numerosi i documenti pontifici sul Rosario, ma la maggior parte di questi riguarda l’erezione di confraternite, la disciplina, i privilegi, ecc. Non sempre apportano elementi nuovi. La loro importanza risiede nel fatto che documentano una continuità di vedute da parte dei Pontefici e una fiducia nel Rosario quale mezzo ecclesiale per estirpare eresie e favorire la pace tra i principi cristiani, come si esprime ad esempio Clemente VIII.
La stagione aurea è quella che comincia con Leone XIII, detto il “Papa del Rosario”, per i numerosi documenti che dedicò a questa preghiera. Fu, la sua, una sorta di “politica del Rosario”, con esso si assicurava un “esercito di contemplativi” grande quanto tutto il popolo cristiano, unendolo in una supplica corale di fronte ai mali della società, come egli stesso indicò nell’Enciclica Supremi Apostolatus Officio del 1° settembre 1883. Fu in risposta a questo appello che il beato Bartolo Longo formulò la celebre Supplica. Anche i successivi Pontefici hanno incoraggiato il Rosario, e quasi tutti ne hanno fatto oggetto di significativi interventi.
Pio X, forse tenendo presente il cospicuo magistero del suo Predecessore, si è soffermato sul Rosario in documenti “minori”, come nella lettera apostolica Summa Deus del 27 novembre 1907, scritta in occasione del cinquantesimo delle apparizioni di Lourdes, sottolineando come tale “fatto meraviglioso” abbia accresciuto il culto verso l’Immacolata e verso il “suo santissimo Rosario”.
Benedetto XV, il Papa che per primo recitò la Supplica in Vaticano, nel documento dedicato al VII centenario della morte di san Domenico Guzman, presenta il Rosario quale rimedio e conforto nei duri momenti della prova, essendo una prece “meravigliosamente idonea a nutrire e a far sorgere in tutte le anime la carità e le virtù”. Per lui è un pio esercizio da rendere abituale ovunque, e che raccomanda caldamente, specialmente in quest’epoca così perturbata.
Pio XI, nella Ingravescentibus malis del 1937, scrive che il Rosario è vero “breviario dell’evangelo e della vita cristiana”, è un “mistico serto”, una “mistica corona” amata da tutti i cattolici, a qualunque condizione appartengano; pio esercizio che, mediante la contemplazione dei misteri di Cristo e della Madre, è sprone alla pratica delle virtù evangeliche e ravviva la speranza suprema dei beni eterni. Il Rosario è una preghiera che, mentre inculca l’amore a Dio, insinua anche la carità verso il prossimo, che negli ultimi tempi appare illanguidita e raffreddata nel cuore di molti uomini; per cui i sacerdoti devono incentivarla tra i giovani e nelle famiglie, tra gli adulti e negli aderenti all’Azione Cattolica.
Pio XII, nella Ingruentium Malorum del 1951, sottolinea il significato del Rosario per la famiglia, sullo sfondo della crisi crescente di questa istituzione, e invita alla preghiera del Rosario, consapevole della “sua potente efficacia per ottenere l’aiuto materno della Vergine”. I misteri della redenzione, contemplati e pregati dal credente, specie dalle famiglie, mostrando i fulgidi esempi di Gesù e di Maria, aumentano lo zelo cristiano dei buoni, riaccendono la speranza della Chiesa e rammentano agli smarriti che il Signore non salva con la spada, ma col suo solo Nome.
La preghiera cara alla Vergine ispira anche una profonda compassione verso il dolore che ancora attanaglia l’umanità e molti cristiani, a motivo della terribile e inumana seconda guerra mondiale, che egli in tutti i modi aveva cercato di evitare. Pio XII ha anche il merito di aver coniato, in una lettera del 1946 all’Arcivescovo di Manila, un’espressione poi divenuta ricorrente nel magistero dei suoi successori: il Rosario della Vergine può essere considerato sintesi, compendio di tutto il Vangelo.
Giovanni XXIII fece numerosi interventi perché i fedeli, mediante il pio esercizio del Rosario, dell’Angelus, della pia pratica del mese di maggio, implorino l’intercessione della Madre di Gesù, da lui costituita Celeste Patrona del Concilio per il buon esito dell’assise ecumenica. Atto non formale ed episodico, visto che influirà non poco nella redazione della mariologia del Vaticano II, icasticamente espressa nel capitolo VIII della Costituzione dogmatica Lumen Gentium.
Durante il suo pontificato ha messo in rilievo la maternità universale della Vergine, anche in ordine alla Chiesa, amando in modo particolare il titolo di “Maria, Madre della Chiesa”. Al Rosario ha dedicato due significativi documenti: l’Enciclica Grata recordatio, sulla recita del Rosario per le missioni e per la pace, del 1959; e la Lettera Apostolica Il Religioso Convegno del 1961, nella quale raccomandava questa preghiera esaltandone, contro le accuse di ripetitività e di poca originalità, la contemplazione mistica, la riflessione intima, l’intenzione pia. Secondo Roncalli, il Rosario è preghiera sociale, pubblica ed universale in ordine ai bisogni ordinari e straordinari della Chiesa, delle nazioni e del mondo.
Paolo VI, nell’esortazione apostolica Marialis cultus, del 1974, ha offerto valide indicazioni per la revisione e lo sviluppo della pietà liturgica e dei pii esercizi, dell’Angelus e del Rosario in modo particolare, sottolineandone la caratura trinitaria, cristologia, pneumatologica ed ecclesiologica, l’orientamento biblico, liturgico, ecumenico ed antropologico. L’insieme di tutti questi elementi ne fa un rimarchevole esempio di sintesi dottrinale, che non solamente convoglia la dottrina già esposta in altri documenti dai Predecessori e dallo stesso Paolo VI, ma applica ad essa, sviluppandoli, anche norme e principi generali enunziati dal Vaticano II.
Infatti, nell’Enciclica Mense maio, del 1965, Montini aveva già esortato i pastori ad inculcare “con ogni cura la pratica del santo Rosario, la preghiera così cara alla Vergine e tanto raccomandata dai Sommi Pontefici”, mentre nell’enciclica Christi Matri, del 1966, aveva invitato la comunità cattolica ad impetrare da Dio, mediante l’intercessione della Vergine con il suo Rosario, il dono celeste ed inestimabile della pace; concetto ripreso anche nell’esortazione apostolica Recurrens mensis october del 1969. Secondo Paolo VI, il Rosario è preghiera che propizia il gran dono della pace e rende i credenti operatori di pace, in quanto “meditando i misteri del santo Rosario, noi impareremo, sull’esempio di Maria, a diventare anime di pace, attraverso il contatto amoroso e incessante con Gesù e coi misteri della sua vita redentrice”.
Anche se non ci sono documenti in merito, la profonda e sincera pietà mariana di Papa Luciani esprime la caratteristica della incisiva sobrietà, probabilmente attinta dall’esemplare modello ispiratore: la Madre di Gesù.
Giovanni Paolo II ha voluto, fin dall’inizio del suo lungo e fecondo pontificato, esprimere il suo profondo legame con la Madonna, dedicando a lei il suo motto: Totus tuus. Numerosissimi sono i documenti a lei ispirati. Al Rosario, in particolare, è dedicata la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae, del 2002, nella quale egli ha delineato il bisogno della Chiesa di contemplare Cristo mettendosi alla scuola di Maria. Secondo le sue indicazioni, il contenuto del Rosario è il volto di Cristo contemplato con gli occhi e con il cuore di Maria. Esso si è rivelato una preghiera alla portata di tutti, ed insieme preghiera capace di far innalzare l’animo verso le vette della più alta contemplazione. La riflessione si porta poi sui contenuti: i “misteri” del Rosario, tra gioia, dolore e gloria, il Papa aggiunge l’arco dei misteri della luce. Con questo documento, pubblicato in occasione dell’inizio del 25° anno di pontificato, Giovanni Paolo II ha riproposto alla Chiesa del Terzo Millennio il Rosario come vera scuola di preghiera, capace di portare i fedeli alla contemplazione del mistero cristiano.
In modo più specifico, affermava il Santo Padre, “ciò che è veramente importante è che il Rosario sia sempre più concepito e sperimentato come itinerario contemplativo”. Tale valenza contemplativa del pio esercizio mariano rappresenta una novità coraggiosa: il Rosario si configura – come la persona di Maria – anche quale mistico pellegrinaggio del credente nella contemplazione del volto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo; proposta che costituisce un tema persistente e melodioso nella sinfonia della spiritualità e del magistero di Papa Wojtyla. Infatti, nella Novo Millennio Ineunte del 2001, ad esempio, uno dei cardini è proprio la contemplazione del volto di Gesù, seguendo i lineamenti tratteggiati dal vangelo e dalla sperimentata via della fede: è volto ora del Figlio del Padre celeste; ora del Figlio della Madre terrena; ora volto dolente; ora volto del Risorto. A duemila anni di distanza dall’evento dell’Incarnazione del Verbo, la Chiesa del XXI secolo nel volto di Cristo contempla il suo tesoro, la sua vera gioia. Per cui il Rosario, alla scuola di Maria donna della contemplazione, scrive convinto il Santo Padre, “costituisce un mezzo validissimo per favorire tra i fedeli l’impegno di contemplazione del mistero cristiano”.
Il 7 ottobre 2003 il mondo cattolico si è inginocchiato con Giovanni Paolo II ai piedi dell’immagine della Vergine di Pompei per implorare la pace. Dinanzi alla venerata icona mariana si sgrana un Rosario universale che risuona come alta, vibrante supplica di pace; è una giornata mariana radiosa, che corona il cammino spirituale dell’Anno del Rosario. Intorno alla maestosa facciata del Tempio di Pompei – che poco più di un secolo fa il beato Bartolo Longo (1841-1926) volle erigere proprio come monumento alla pace – il popolo dei devoti di Maria ha il volto dell’umanità peregrinante ed il cuore della Chiesa orante. Il terzo millennio con il suo fardello di drammi e di speranze, fa tappa a Pompei; sosta in quella Valle divenuta singolare ponte tra le antiche vestigia pagane e le straordinarie opere di una fede fattasi cemento di una nuova civiltà. Il 7 ottobre 2003, accanto all’icona della Madonna di Pompei c’è il Papa del Totus tuus; egli si unisce alla folla orante con la meditazione dei “suoi” misteri della luce, quasi per proiettare la luce di Cristo sui conflitti, le tensioni e i drammi dei cinque Continenti. Ogni Ave Maria, inoltre, ha il respiro di un grido dolente e la forza e l’anelito di speranza.
Il Rosario, non è solo impetrazione e proiezione della luce di Cristo sul mondo e fra gli uomini vessati da conflitti e tensioni, ma è anche straordinario compendio dell’Evangelo. L’uomo e la donna del tempo post-moderno hanno bisogno di respirare a pieni polmoni il buon profumo di Cristo per disintossicarsi, ritemprarsi ed ossigenarsi della genuina bellezza e bontà del Mistero! Nella sintassi evangelica del Regno, respirare, contemplare, assimilare, percorrere, conoscere, amare, sono verbi di “movimento”, cioè d’impegno martoriale; conducono, mediante l’opera silenziosa ed efficace dello Spirito, a Cristo, e Cristo conduce al Padre, origine, senso e meta della nostra fede. Questa sintassi evangelica è stata scrupolosamente esperita da Maria di Nazareth, vera discepola-maestra di vita cristiana.
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